Riflessioni sullo svapo 2023

Tempo di lettura: 10 minuti – Tento di ricostruire una piccola fase storica relativa a questo mondo, in relazione ad altri fattori ed eventi e a quel che potrebbe prospettarsi per il futuro.

Gli ultimi tre/quattro anni, dal 2018/2019 ad oggi (fine 2023).

La pandemia da Covid-19

La pandemia da Covid-19 di sicuro ha avuto un ruolo essenziale nel cambiamento delle carte in tavola. Da un lato ha consolidato la passione di chi già aveva adottato da tempo hardware rigenerabile e liquidi sporchi (ma sempre buoni); dall’altro, con l’improvviso e necessario aumento dell’efficienza e della velocità dei corrieri, ha cambiato il paradigma del rapporto commercianti/clientela.

Se è vero che, da un lato, per gli appassionati di cui sopra, con il lock-down era diventato più facile approvvigionarsi di qualsiasi cosa anche a distanza, informarsi sulle ultime novità e avere il tempo di seguire eventuali liste notturne o altri trucchetti come il famoso “F5 di mezzanotte” (1), visto il maggior tempo a disposizione forzata, dall’altro questo è diventato vero anche per chi tali dispositivi rappresentano un disincentivo a non fumare: non a caso, durante quel periodo le tabaccherie furono tra gli esercizi considerati essenziali e restarono aperte.

La Cina

Inoltre va considerato il cambio di passo in Cina, dove il regime ha normativamente posto fine alle tante microimprese orientate al settore del vaping che, fino ad allora, nascevano, lanciavano sul mercato un prodotto con il proprio marchio e, dopo breve tempo, scomparivano. Adesso in Cina produrre articoli per il vaping comporta una lunga trafila burocratica, autorizzazioni, depositi presso le autorità di progetti e di piani di marketing, controlli molto stringenti. Sono rimasti praticamente solo i grandi produttori.

Tali grandi produttori seguono strategie di marketing non necessariamente uguali, ma per molti aspetti simili. Vi sono produttori che si concentrano sulla continua immissione di nuovi prodotti sul mercato, con investimenti in ricerca e sviluppo mirati in tal senso e assistenza alla clientela solo nel brevissimo o al massimo breve periodo; ve ne sono altri che preferiscono non ampliare troppo la propria gamma di linee prodotto, ma affinare quelle esistenti, garantendo al contempo servizi di assistenza e ricambi almeno nel medio termine. Sullo sfondo, tuttavia, c’è una profondissima (e insana, per certi versi) sete di business, alimentata dai gravi ammanchi di fatturato prodotti dal rallentamento imposto dalla fase iniziale della pandemia.

Le disposable e le loro conseguenze

Nascono in quella fase le famigerate sigarette elettroniche usa-e-getta, in inglese disposable, progettate e concepite con estrema determinazione per conseguire volumi di fatturato enormi: aromi superconcentrati fortemente accattivanti di tipi ben precisi, uniti a sali di nicotina invece di nicotina free-base (colpo in gola molto ridotto, quasi assente, ma assorbimento da parte dell’organismo velocissimo), che da un lato può servire a chi li impiegasse con consapevolezza per assumerne rapidamente una certa quantità senza troppe aspirazioni, dall’altro portatori di nuove assuefazioni, non casuali, peraltro. All’adulto ex fumatore non interessano led, lucine, gommine, disegnini e colori sgargianti, gli interessa avere uno strumento che gli tolga la voglia di fumare. Questi dettagli colpiscono, invece, giovani e giovanissimi i quali, con i loro organismi estremamente più sensibili, al primo tiro cadono immediatamente nella spirale dell’assuefazione. Sempre meno peggio che fumare, nessuno lo nega, ma di certo si tratta di un’assuefazione gratuita, inutile, perfida, perpetrata con la piena consapevolezza di provocarla, diretta a chi ne fa un uso sostanzialmente inconsapevole e, dunque, a grave rischio di superare le dosi tollerabili, con conseguenze nefaste.

L’attività normativa, opportunamente controllata dalle lobby, ha fatto (e fa) poco o niente per impedire questo scempio, tant’è che è facilissimo procurarsi questi dispositivi caricati a percentuali di nicotina fuorilegge (il massimo ammesso è 20 mg./ml. ossia il 2%, mentre esistono e sono tranquillamente reperibili sui vari mercati neri, on e offline, quelle al 5%, ossia a 50 mg./ml., una dose che se abusata potrebbe risultare assai tossica, con conseguenze imprevedibili).

L’impatto ambientale

E ciò senza contare che, scientemente, questo business multimiliardario ha ignorato le conseguenze ambientali della disseminazione di milioni e milioni di cadaveri delle usa-e-getta, abbandonate con noncuranza ovunque capiti sia per la scarsa (o nessuna) chiarezza delle regole in materia di smaltimento, sia per l’ignoranza, sia perché le stesse imprese di recupero e riciclo non sono attrezzate per eseguire le operazioni necessarie: ogni cadavere andrebbe dissezionato, separato nelle sue parti componenti – tipicamente plastica, tampone assorbente, resistenza, un minuscolo circuito elettronico, qualche led e una batteria agli ioni di litio – ciascuna delle quali dovrebbe seguire il proprio tipico percorso di riciclo, diverso dagli altri. Di fatto, oggi questo non viene praticato, né in Italia, né in buona parte dell’Europa, né – con ogni probabilità – nel resto del mondo. Ricorda molto quanto accadde negli anni ’60 del 1900 con il DDT, il potente insetticida che insieme ai fitofarmaci fece tali e tanti danni alla natura da far uscire il famoso libro Primavera silenziosa di Rachel Carson, ovvero il lancio del Moplen, il materiale plastico indistruttibile che per svariati anni ha invaso i mercati di tutto il mondo, lasciandosi dietro plastiche pressoché eterne.

Ora un minimo di allarme per questo scempio comincia a prefigurarsi, ma è ancora lungi dal produrre effetti. Nel contempo, cosa fanno le grandi industrie del vaping? Investono in dispositivi simil-usa-e-getta: si pensi alla Kiwi 2, per la quale esistono sia le cartucce vuote, caricabili dal cliente, sia quelle precaricate. Producono POD di ogni foggia, di ogni tipologia e di ogni fascia di prezzo, continuando a invadere il mercato con dispositivi che – per l’amor di Dio, meglio delle disposable ma comunque invadenti e invasivi – rispetto alle usa-e-getta hanno il vantaggio di essere più facilmente smaltibili: il corpo batteria, separato dalla cartuccia, si può conferire nei normali RAEE (Rifiuti da Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche), ma le cartucce, fatte di plastica, metallo, cotone e residui di liquido solitamente nicotinato, continuano ad essere conferite nel “non riciclabile” in quanto non separabili dall’utenza comune. Meno peggio, ma comunque non bene, dunque.

La scena mediatica digitale su Youtube e altri

Il divieto è previsto solo quando c’è di mezzo la nicotina. Dunque, la recensione di hardware non è da vietare, la recensione di aromi concentrati o scomposti (che in sé non ne contengono) non è da vietare. È, invece, da vietare qualsiasi contenuto che illustri, ad esempio, come preparare i liquidi aggiungendovi nicotina.

Youtube è ormai sfrontatamente contro l’argomento vaping per varie e diverse ragioni. Non ha mai obbligato nessuno a vietare tout court ai minori i contenuti che parlano di vaping, semplicemente perché le sue regole, ad oggi, non dicono questo (copia locale salvata il 26/11/2023). Dicono, piuttosto, che tali contenuti non dovrebbero essere pubblicati affatto. Il che equivale a dire che l’argomento vaping, su Youtube, potrebbe essere trattato solo da medici e istituzioni, ma non dai privati né da alcun altro.

Non è di alcuna utilità la pratica, ardentemente sostenuta da alcuni (con risultati di accoglimento pari a zero, peraltro), di impostare preventivamente il divieto: quei contenuti semplicemente non dovrebbero esistere e Youtube, presso cui il personale umano addetto ai controlli è quasi inesistente perché la quasi totalità delle decisioni è presa in maniera automatica da complessi sistemi algoritmici, coadiuvati dall’Intelligenza Artificiale, dai Big Data e dal Machine Learning, si limita ad effettuare controlli fondati su meccanismi di analisi in grado di interpretare testi grafici, immagini, sequenze, loghi e luoghi, oggetti, parole, frasi, link ipertestuali, indirizzi email, codici a barre, QR-Code e simili, inclusi suoni, voci, rumori, musica.

Il problema, per Youtube, è che chi monetizza avendo un canale di vaping non può produrre introiti (o ne produce di molto limitati), dunque perché dovrebbe agevolarne la circolazione, visto che vive di quello?

Se da quel controllo emerge la necessità di imporre il divieto ai minori, la macchina di Youtube lo attua indipendentemente da quanto abbia (o meno) già fatto il content creator: semplicemente, il “VM18” si trasformerà da “Video soggetto a limiti di età (su richiesta dell’autore del caricamento)” in “Video soggetto a limiti di età (per effetto delle norme della community)”; il primo è impostabile e rimovibile dall’autore, il secondo è permanente e non rimovibile. Entrambi producono le stesse limitazioni alla circolazione dei video (scarsa/nessuna visibilità al di fuori della cerchia degli iscritti e dei soggetti con identico profilo di argomenti di interesse, nessuna proposta tra i video suggeriti, nessuna presenza in Home Page di Youtube, nessuna reperibilità alla parziale digitazione in casella di ricerca) ma va tenuto presente che, anche non facendolo, Youtube “sa” ugualmente e comunque restringe la circolazione del materiale mediatico per un semplice motivo: la pubblicità, che sui canali incentrati su tale tema non circola (copia locale salvata il 26/11/2023) per decisione degli stessi inserzionisti, a loro volta proni alle cieche indicazioni delle normative, specie quelle europee.

Quando si vedono realtà i cui numeri – in termini di iscritti, like, visualizzazioni e commenti – sembrano non essere affetti o quasi da tali limitazioni, vi sono solo due spiegazioni possibili: il creator in questione, con abili manovre di pianificazione, studio e implementazione, ha configurato il proprio canale come puro e semplice intrattenimento riuscendo a farsi anche “percepire” come tale dagli algoritmi, i quali non lo osteggiano o lo osteggiano molto poco, pur rilevando quale sia l’argomento trattato (i casi di questo genere sono davvero pochi); oppure, il creator in questione si serve (illegalmente) di pacchetti di iscritti, like, commenti, visualizzazioni e condivisioni. Una tecnica che oggi, se ben pianificata, ha costi contenuti, funziona ed è difficilmente rilevabile dallo stesso Youtube. Ci si potrebbe chiedere a quale scopo praticare simili iniezioni di numeri e la risposta è semplice: un canale così sottoposto a doping “appare” come un canale grande, forte, molto seguito, frequentato e ciò consente al suo creator di mantenere alta l’attenzione su di sé al fine di ottenere la fiducia di brand di vario genere, che a fronte di tali numeri concederanno beni in comodato d’uso gratuito e permanente a scopo valutativo, ossia i famosi regali con i quali il creator poi si esibisce in valutazioni e presentazioni (molto spesso improbabili e solo in pochissimi casi pagate dalle imprese sponsor), una semplice forma di pubblicità sotto mentite spoglie, ben diversa dall’analisi e lo studio di parti componenti senza alcun intento promozionale, o dalla pura e semplice didattica (che sia realmente tale e non abbia secondi fini, come rarissimamente accade nel settore).

Il futuro della scena mediatica su Youtube e altri

Basta guardare i numeri, non serve nessun particolare sistema di analisi: canali la cui crescita è pressoché bloccata, le cui visualizzazioni rispetto al numero di iscritti sono minime, a fianco ad un mercato dell’offerta fortemente ridimensionato dall’invasione di disposivi più pratici (Pod) e sensibilmente migliorati nella loro resa rispetto a cinque anni fa, o dispositivi superficiali (disposable) che attecchiscono molto più facilmente nel mondo fisico (tabaccherie e negozi), tutto ciò a danno dell’inventiva e della voglia di fare ricerca e sviluppo in un settore che potrebbe fare ancora molto (il comparto dei rigenerabili) ma sul quale, a fronte di tanta concorrenza, pochi hanno ancora voglia di investire.

Risultato: canali, anche grandi (vedi Santone, Danielino e qualche altro) con numeri in forte squilibrio, crescita pressoché ferma e circolazione limitata al consesso del proprio zoccolo duro di seguaci ereditati da anni precedenti, molto più felici, ma non in grado di perpetuare quel successo che, tra il 2011 e il 2017, ha portato alla ribalta alcuni creator: oggi nessuno potrebbe raggiungere quella stessa ribalta in quegli stessi tempi e con quegli stessi numeri parlando di vaping. Ed ecco molti canali del tutto rimossi, altri pressoché abbandonati, oppure alimentati da qualche video sparuto e distante mesi, a volte anni, dal precedente, visto solo ed esclusivamente dai pochi adepti.

Si può tranquillamente dire che lo svapo di una volta su Youtube è morto e sepolto da un bel pezzo. Nemmeno gli ex grandi riusciranno a spuntarla: se nel 2017 personaggi come il Santone dello Svapo potevano avere l’ardire di vivere (molto bene, tra l’altro) facendosi pagare le recensioni dai produttori, oggi tutto questo è pressoché azzerato: all’epoca, la promozione di dispositivi a basso costo era tenuta in auge dalla presenza, sulla medesima scena mediatica, di recensioni di hardware di alto livello, che facevano del creator una sorta di deità, titolare unico della dignità di ricevere un dispositivo costosissimo gratis per le sue capacità di presentarlo opportunamente; ma oggi che di tali dispositivi è rimasta giusto qualche traccia, al creator resta da parlare dell’ennesima Pod, dell’ennesima usa-e-getta, dell’ennesimo liquido, fine. Tutto ciò, le case possono farselo anche da sole sui propri siti, raggiungibili da tutti tramite smartphone: non hanno più alcun reale bisogno del creator inteso come qualche anno fa. Oggi ci sono i gruppi WhatsApp, i gruppi Telegram (ormai molto più grande, efficiente e flessibile di WhatsApp), attraverso cui imprese e negozi possono restare direttamente in contatto con i propri clienti. Il creator può occuparsi d’altro, al limite di cucina, ma il vaping… addio. E altrettanto dicasi per altri social: Facebook non è da meno, come non lo è Instagram. Stessi meccanismi di analisi, stessi rischi.

E Twitch?

Twitch è nata come piattaforma per lo streaming in tempo reale di giochi. Hai la Playstation: invece di collegarla direttamente al televisore, la connetti a uno splitter, che manda l’uscita audio e video sia al televisore che a un’interfaccia collegata al computer e, in pratica, mandi in streaming quel che vedi e senti sul tuo televisore, unitamente alla tua voce e, eventualmente, a una ripresa del tuo viso relegata in un angolino del video trasmesso in streaming. Calcolando che molti giochi permettono, connettendo la Playstation a Internet, di giocare anche in squadra, indubbiamente la questione è accattivante, è anch’essa un mezzo promozionale (fa vedere ad altri come funziona) e ha scatenato tutti i meccanismi di sfida, premiazione, hype e coinvolgimento di cui dispone quel portale.

Frequentato solo da ragazzini? Falso, basti solo pensare che nel mercato la Playstation è usata molto più da adulti che da ragazzini.

Nel tempo anche Twitch è cresciuto e si è dotato di ulteriori meccanismi che, comunque, rendono possibile il suo impiego non solo in streaming ma anche in differita e con video memorizzati, esattamente come Youtube. Esiste, per dire, l’equivalente delle Playlist, che si chiama Raccolte: fa esattamente la stessa cosa di Youtube. Diciamo che oggi Twitch è l’unico, vero, possibile concorrente per Youtube: il resto è acqua fresca, numericamente parlando.

L’argomento vaping non è osteggiato, a differenza di Youtube. Il problema di Twitch è solo l’assenza di un meccanismo di commenti in differita per i video (solo durante le live si può interagire in chat), cosa molto poco accettata perché previene la natura, insita in molti, specie italiani, di leone da tastiera: se lo fai durante una live, lo streamer può metterti a tacere prima ancora che tu possa far danni. Con i commenti, invece, il leone da tastiera ha maggiore spazio per agire indisturbato e per essere messo all’angolo è necessario controllare i commenti, leggerli e moderarli. Questo uno dei principali motivi per cui a molti non piace. Ma oggi c’è Telegram, e molti lo impiegano per aggirare proprio questo ostacolo.

Possibilità di crescita? Limitate. Ovvio che, di per sé, è uno strumento che si presta meglio a pratiche come l’esposizione del corpo (con i dovuti limiti), ad attività ludiche e a contenuti non sempre attenti a un pubblico sensibile. Notifica l’avvio di streaming, ma non il caricamento di video, altro grande limite (superabile con Telegram). Non è indicizzato sui motori di ricerca come Youtube, tuttavia nel tempo la sua casella di ricerca interna ha espanso moltissimo il proprio reach ed è in grado di reperire quasi tutto all’interno del portale. Non facendone uso ludico, dunque, è un ottimo sistema (tra l’altro più veloce di Youtube) per delle nicchie, più o meno ristrette, ma di certo non è in grado, in questo caso, di produrre ascese verso il cielo di star che intendano diventare punti di riferimento mediatico.

Proprio per questo, per molti aspetti c’è più pace e più tranquillità. Dunque, non è un mezzo da sottovalutare, ma anch’esso ha le sue regole, sia chiaro. Pertanto, i creator che abbiano pensato di sostituirlo a Youtube con l’idea di ricavarne la stessa visibilità, almeno per certi argomenti, sbagliano.

Conclusioni

Lo svapo si trasferirà su Twitch? A parte qualche nicchia, no. Il mondo mediatico dello svapo di massa semplicemente resterà relegato nei recinti dei pochi grandi produttori, sui loro stessi media.

Lo svapo scomparirà da Youtube? No, lo svapo è già scomparso da Youtube: quel che c’è rimasto, numericamente, rispetto al resto di Youtube, è già come se non ci fosse, se si escludono le viste della materia esclusivamente ludiche, in particolare al di fuori dell’Europa.

Lo svapo High End scomparirà? No, ma diventerà sempre più nicchia, sempre meno numerosa, sempre più circoscritta, sempre più vintage, sempre più arginata in un recinto molto stretto.

Il futuro prossimo è delle Pod di recente generazione. Si spera non delle disposable. Che non è una scelta obbligatoria ma, come molti dimenticano, i grandi numeri dello svapo non sono né i rigenerabili, né i liquidi “sporchi”: sono i dispositivi comunque precaricati o al massimo ricarica-usa-ricarica-usa-e-getta (riferito alla sola cartuccia), i liquidi commerciali di sintesi, i negozi fisici (di svapo e tabaccherie). Il resto sono briciole e chi pensasse, nel medio termine, di fare di quel resto il proprio mezzo di sostentamento, con ogni probabilità sbaglierebbe clamorosamente. Figurarsi a lungo termine: meglio pensare direttamente ad altro.

MVP

(1) L’operazione di ricaricamento di una pagina Web, tipicamente eseguita premendo F5 sulla tastiera, utile quando gli e-store rendono disponibile un determinato lotto di prodotti ad una data ed un’ora ben precisi.

 


Marco V. Principato

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Informatico sin dagli anni '80, laureato con lode in Scienze della Comunicazione, dottore magistrale con lode in Informazione Editoria e Giornalismo, studente a vita per meritare davvero la qualifica di dottore, radioamatore (IK0MHG).

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